In occasione della commemorazione dell'Olocauso ho raccolto alcune testimonianze degli Ospiti della Casa di riposo Villa Estense con la quale da un anno ho il piacere di collaborare.
Questi non hanno memoria delle leggi razziali. Sia perché provenienti da piccolissimi centri nei quali non era presente una comunità ebraica, sia perché all’epoca dei fatti erano troppo piccoli per poter comprendere il genere di abominio che li vedeva testimoni.
Hanno memoria però dell’angoscia provata durante le incursioni dei soldati nelle loro abitazioni e del terrore che li assaliva al suono delle sirene che preannunciavano un attacco aereo.
Ecco alcune delle testimonianze:
Arcangelo ricorda di quando lui era bambino e il papà partì in guerra. Combatté nei Balcani e successivamente venne fatto prigioniero in Russia.
Ricorda, con un luccichio negli occhi che tradisce l’emozione, quando da bambino al suono delle sirene scappava con la sua famiglia a ripararsi nei rifugi anti aerei. Dice: “A Manduria stava nu rifuggiu scunnutu ammienzu alli ficalinni, quannu rriaunu li apparecchi tuttu di paru faciunu na luci comu a menzatia”
(A Manduria c’era un rifugio nascosto tra gli alberi di fico d’india, quando arrivavano gli aerei d'improvviso illuminavano tutto come se fosse pieno giorno. -Arcangelo si riferisce sicuramente all'uso dei bengala)
Biagio: durante il periodo del fascismo ero un giovanotto, andavo a scuola ed ero presente nelle adunate in piazza. Ero un balilla. In quegli anni le incursioni militari nelle case erano all’ordine del giorno: venivano a prelevare le riserve alimentari e altri beni di prima necessità che potevano essere utili ai militari. I miei genitori nella speranza di limitare i saccheggi nascondevano tutto in vari luoghi nelle campagne. Quando i militari entravano in casa mia madre mi mandava a nascondermi sotto il letto insieme ai miei fratelli. Mentre la guerra volgeva a termine arrivarono gli americani: la gente del posto era molto diffidente anche se loro si dimostravano amichevoli; ai ragazzini che incontravano per strada regalavano caramelle e carne in scatola.
Carmela: quando c’era la guerra io ero una bambina, il papà era a combattere e la mamma da sola si prendeva cura di me e dei miei fratellini. Al suono della sirena dovevamo scappare in un rifugio in campagna. Una volta sentimmo un improvviso fragore e ricordo che la mamma era terrorizzata, cercando di consolarmi consolava un po’ anche sé stessa e ricordo che ripeteva: “La piccinna mia... la piccinna mia..”
Giovanna: “i soldati entravano nelle case per prendere le riserve di cibo e mia madre nascondeva il pane nell’orto sotto la legna, mentre il grano lo nascondevano nei capasoni completamente interrati all’interno della rimessa di campagna e poi il tutto veniva ben nascosto con le chianche di pietra. Comunque”, continua Giovanna, “rubavano tutto ciò che poteva tornargli utile. Infatti una volta la mamma nascose sotto un mandorlo dell'orto una saponetta, poi a pericolo scampato non ricordava più quale fosse il luogo esatto in cui aveva nascosto il sapone”. Conclude sorridendo.
Queste sono alcune delle testimonianze dei nostri nonni, non sono lontane, appartengono a noi, alle nostre famiglie.
Dovremmo ricordarlo più spesso.
È nostro dovere farlo, lo dobbiamo a loro e lo dobbiamo a noi per contrastare attuali e pericolosi negazionismi.
Dott.ssa Giulia Perretti